domenica 12 dicembre 2010

Yayoi Kusama_arte_trasalimenti


Persa dentro a un puntino e moltiplicata da muri di specchi: è così che vediamo Yayoi Kusama, la più importante artista giapponese vivente. Il fatto è che a Tokyo, negli anni cinquanta, era difficile essere una ragazza con desideri di originalità e indipendenza. Sostenuta da un narcisismo divertito ma devastata da una sensibilità ossessionata, spinta dal desiderio di porsi allo stesso livello dei maschi, aiutata dal suo talento multiforme, Yayoi Kusama se ne andò negli Stati Uniti dove visse tra il 1957 e il 1973.
Inserita nel fermento artistico di New York, non si sottrasse ad happening per la pace in Vietnam e soprattutto per l’autonomia femminile.
Malgrado abbia girato film, redatto riviste e partecipato ad attività sperimentali di ogni tipo, il suo lavoro è ampiamente riconoscibile per l’utilizzo di pallini, reticoli, specchi e tutto ciò che mette in crisi la percezione, comunicando il suo disagio con opere che generano da una parte un vissuto giocoso, dall’altra una perdita dell’orientamento. La sua poetica si è comunque incrociata con quella di molti protagonisti del nostro tempo: ricordiamo le collaborazioni col musicista Peter Gabriel, con il fotografo Nobuyoshi Araki, con lo stilista Issey Miyake.




Dopo la vasta notorietà raggiunta grazie a mostre tenute nei maggiori musei del mondo, in Italia l’hanno resa particolarmente nota le sue partecipazioni alla Biennale di Venezia, nel 1966 e nel 1993, quando fu scelta come rappresentante per la propria nazione d’origine: la ragazzina ribelle aveva vinto, anche se forse a prezzo del proprio stesso equilibrio.